Appunti sul volume di Galgani, analista di politica internazionale, che analizza criticamente l'evoluzione dei rapporti tra nord e sud America, a partire dall'inizio del diciannovesimo secolo con la dottrina Monroe fino alla presidenza di George W. Bush. I rapporti, spesso molto tesi, tra l'amministrazione della Casa Bianca che spesso ha imposto i propri interessi al Sudamerica sono analizzati in tutte le amministrazioni che si sono succedute. Roosvelt, Truman, Eysenower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan e Bush, Clinton e George W. Bush: tutti si sono dovuti confrontare con "vicini di casa" da gestire, non senza forti tensioni e senza uno sfruttamento delle risorse naturali ad opera di Washington, troppo spesso impegnata a far valere più i propri interessi che i reali diritti delle popolazioni del Sud. Ampia analisi della carismatica leadership venezuelana di Hugo Chavez, che si è opposta allo sfruttamento del nord con una spinta all'autonomizzazione e allo sviluppo della sua nazione e di quelle vicine.
America latina e Stati Uniti
di Filippo Amelotti
Appunti sul volume di Galgani, analista di politica internazionale, che analizza
criticamente l'evoluzione dei rapporti tra nord e sud America, a partire dall'inizio
del diciannovesimo secolo con la dottrina Monroe fino alla presidenza di
George W. Bush. I rapporti, spesso molto tesi, tra l'amministrazione della Casa
Bianca che spesso ha imposto i propri interessi al Sudamerica sono analizzati
in tutte le amministrazioni che si sono succedute. Roosvelt, Truman,
Eysenower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan e Bush, Clinton e
George W. Bush: tutti si sono dovuti confrontare con "vicini di casa" da gestire,
non senza forti tensioni e senza uno sfruttamento delle risorse naturali ad
opera di Washington, troppo spesso impegnata a far valere più i propri interessi
che i reali diritti delle popolazioni del Sud. Ampia analisi della carismatica
leadership venezuelana di Hugo Chavez, che si è opposta allo sfruttamento del
nord con una spinta all'autonomizzazione e allo sviluppo della sua nazione e di
quelle vicine.
Università: Università degli studi di Genova
Facoltà: Scienze Politiche
Esame: Storia dell'America latina
Docente: S. Delfino
Titolo del libro: America latina e Stati Uniti
Autore del libro: P. Galgani
Editore: Francoangeli
Anno pubblicazione: 20071. America Latina e USA: la dottrina Monroe
Nel corso dell’800 le relazioni tra nord e sud furono influenzate dai rapporti tra Washington e le potenze
europee. Dopo la lunga lotta con l’Inghilterra, i padri fondatori vollero evitare contrasti con le principali
nazioni europee. Tale atteggiamento fu definito dal presidente Washington nella dichiarazione di neutralità
del 1793 e poi nel discorso con cui lasciò la carica nel 1796. sostenne la necessità che 20 anni di pace,
aggiunto a un incremento di popolazione e di risorse avrebbe consentito loro di essere nella giusta posizione
da sfidare tutti i poteri della terra. Voleva tutelare la giovane repubblica nel momento della sua massima
vulnerabilità.
Il corollario ai moniti di Washington fu l’enunciazione della Dottrina Monroe. Lo stimolo a tale
dichiarazione fu la rivolta delle colonie spagnole sudamericane contro la madrepatria e la reazione delle
potenze europee riunite nella Santa Alleanza, frutto del Congresso di Vienna del 1815 e intenzionate a
intervenire militarmente nel nuovo mondo per riportare lo status quo ante. Temendo per la sicurezza del
proprio emisfero e con l’intento di sostenere lo sforzo anticoloniale degli stati meridionali, il presidente
Monroe, spalleggiato dal suo segretario John Quincy Adams decise di opporsi all’iniziativa europea.
Sostenne che:
1. se gli Usa erano pronti a riconoscere le esistenti colonie europee nelle americhe, non erano disposti a
tollerare nuove conquiste
2. gli Usa non sarebbero mai intervenuti negli affari europei ma non avrebbero accettato interventi delle
potenze europee nel continente americano
3. non era concepibile che i sistemi politici delle potenze europee fossero esportati in territorio americano.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti 2. Usi e abusi della Dottrina Monroe
Monroe riuscì a bloccare la spedizione militare europea mantenendo l’isolamento delle influenze del
vecchio continente gettando le basi della futura politica di intervento degli USA verso l’America latina.
Con la Dottrina Monroe gli USA si assicurarono l’espansione nel proprio emisfero mettendo in atto politiche
simili a quelle di qualsiasi governante europeo e si trasformarono in una grande potenza. Fu allora che si
trasformò la realizzazione dell’America latina nel “cortile di casa” di Washington.
Da allora in poi ogni intervento americano nella regione trovò giustificazione nelle affermazioni di Monroe.
Da allora in poi la dottrina Monroe fu usata per difendere qualsiasi intervento nella regione sia in caso di una
minaccia reale sia potenziale.
Gli sbarchi dei Marines in Sudamerica divennero una consuetudine. I soldati intervennero in Argentina nel
1833, 1852 e 1890, in Nicaragua, in Uruguay, in Messico, in Cile e a Panama.
La frequenza degli sbarchi era dovuta anche al fatto che fino al XX secolo le ambasciate e le delegazioni
statunitensi non avevano presidi permanenti, per cui ogni volta che c’era un problema, i mercanti e i
diplomatici statunitensi sentendosi minacciati chiedevano l’intervento delle proprie forze armate.
La guerra di secessione interruppe per qualche tempo il processo di espansione ma nel 1868 il presidente
Andrew Johnson fece riferimento alla Dottrina Monroe per l’acquisizione dell’Alaska.
Tra la guerra di secessione e la fine del secolo aumentò la produzione carbonifera, i binari in acciaio, il
frumento e il flusso migratorio dall’Europa, soprattutto dall’Irlanda fece raddoppiare la popolazione.
Alla fine dell’800 l’area dei Caraibi fu il principale terreno di scontro tra gli USA e i residui territori
coloniali spagnoli. La guerra ispano americana scoppiata nel 1898 si concluse con la sconfitta di Madrid che
uscì definitivamente dall’emisfero occidentale. Washington occupò militarmente Cuba e Portorico.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti 3. L’espansionismo di Theodore Roosevelt e il suo corollario alla
dottrina Monroe
Con Theodore Roosevelt dal 1901 la politica espansionistica americana verso il sud compì il grande balzo
verso l’età matura dell’imperialismo di stampo europeo.
Rimarginate le lacerazioni dovute alla guerra di secessione e la colonizzazione della frontiera del West, gli
americani cercarono nuovi sbocchi alle loro energie espansionistiche e si rivolsero all’America latina.
Roosevelt comprese che grazie alla crescita economica raggiunta, gli USA potevano competere ad armi pari
con ogni potenza europea.
La prima prova che il presidente dovette affrontare fu il Venezuela. Afflitto dalla incapacità di saldare il
debito estero, il paese di Simòn Bolìvar fu il primo passo verso il rafforzamento dell’imperialismo
americano.
Nel 1902 il Venezuela non riusciva a ripianare i debiti contratti con Germania, Inghilterra e Italia e il Kaiser
decise di inviare una flotta per costringere il paese a restituire il dovuto. Roosevelt decise di dirottare le navi
da guerra tedesche. L’intervento di Berlino sarebbe stato visto come un possibile strumento per acquisire
basi militari e commerciali nei Caraibi, eventualità che gli USA non potevano tollerare.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti 4. I successori di Roosevelt e il messianismo di Wilson
Dopo Roosevelt gli USA intervennero pesantemente in America latina e agirono come esattori dei debiti
internazionali di questi con il resto del mondo come accadde nel 1905 quando dietro le pressioni di
Washington la Repubblica Dominicana accetto il controllo statunitense sulle proprie finanze.
Il successore di Roosevelt, William Howard Taft continuò ad adottare il suo corollario della Dottrina
Monroe aggiungendo la colonizzazione non solo territoriale ma anche economica dell’America Latina.
Taft esercitò pressioni sule repubbliche latinoamericane perché sostituissero i capitali di provenienza
europea con quelli statunitensi avvantaggiando anche gli istituti finanziari del suo paese.
La “diplomazia del dollaro” che per Taft voleva dire tutelare gli interessi industriali, commerciali e
finanziari statunitensi, favorire più stretti legami economici tra USA e America latina, intervenire
militarmente per assicurare l’operatività degli altri due elementi fu applicata in Nicaragua. Nel 1909 i
banchieri americani si impossessarono di gran parte delle finanze del paese e quando nel 1912 scoppiò una
rivolta contro il governo filoamericano, Taft inviò i Marines per proteggere i capitali là investiti.
L’obiettivo di Taft era instaurare il predominio economico e finanziario fondato sulle stesse regole seguite
nei rapporti di affari e nelle transazioni effettuate a Wall Street. Sperava di trasformare le nazioni latine in
tanti cloni della repubblica americana aventi stesse caratteristiche di democrazia, stabilità e autorità.
Il progetto di Taft si scontrò però con la dura realtà della povertà diffusa in vasti strati della popolazione
sudamericana e con la detenzione del potere politico da parte di ristrette oligarchie pronte ad ostacolare la
diffusione della democrazia.
Il presidente Woodrow Wilson voleva eliminare la diplomazia del dollaro e voleva trattare l’America Latina
in termini di uguaglianza e onore ma la necessità di tutelare gli interessi economici e finanziari lo condusse a
intervenire in Sudamerica con una frequenza maggiore di quella di Taft.
Pose però l’accento sui principi e sulla convinzione che l’America fosse destinata ad un ruolo di grandezza e
di “faro” dell’umanità nel diffondere gli ideali di libertà. Wilson volle ammantare di veste ideale la tutela
degli interessi nazionali considerandoli equivalenti al bene comune.
Fu Wilson, 80 anni prima di Bush a concepire l’intervento degli USA come sprone per l’avvento della
democrazia liberale. Intervenì in Messico contro il presidente Huerta, colpevole di una politica brutale e di
soppressione dei diritti civili, e ad Haiti dove impose l’ordine americano in un paese in preda al caos
permanente.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti 5. La politica di buon vicinato di Franklin Roosevelt, la seconda
guerra mondiale e il nuovo ordine postbellico
Negli anni 20 le relazioni tra USA e America latina si intensificarono. Nel periodo precedente la regione
aveva avuto un notevole sviluppo economico docuto all’afflusso di capitali statunitensi. Dopo la fine della
prima guerra mondiale, Cuba, Haiti, Repubblica dominicana e Nicaragua erano occupate da truppe di
Washington e la penetrazione economica dei decenni precedenti aveva trasformato le altre nazioni in
protettorati statunitensi.
Negli anni 20 gli investimenti yankee e il controllo economico aumentarono ma l’intervento delle forze
armate diminuì.
La crescente ostilità delle popolazioni sudamericane ai passati sbarchi militari statunitensi convinsero i
rappresentanti di Washington a migliorare i rapporti con le popolazioni meridionali.
Dopo alcune mosse distensive compiute dal presidente Coolidge, fu per merito di Herbert Hoover che la
politica di conciliazione compì passi avanti. Compì un lungo viaggio di successo in 11 paesi sudamericani e
nel 1930 rese pubblico il Memorandum Clark, un documento del Dipartimento di stato redatto 2 anni prima
che ripudiava sia il corollario Roosevelt ala Dottrina Monroe, sia la necessità di un controllo poliziesco da
parte degli USA. Hoover non intervenne né quando movimenti rivoluzionari scossero l’equilibrio politico in
Brasile, Cuba e Panama, né quando altri paesi sudamericani si rifiutarono di pagare i debiti contratti con gli
USA.
La vera rottura con il passato fu compiuta da Franklin Delano Roosevelt dal 1933. promise di adottare una
politica di buon vicinato e continuò la scelta di disimpegno militare compiuta da Coolidge e Hoover.
Nel 1934 su iniziativa di Washington fu abolito l’emendamento Platt alla costituzione cubana che, inserito
nel 1901 poneva il diritto di intervento armato degli USA su Cuba così da conseguire un vero e proprio
protettorato sugli affari dell’isola.
Quando nel 1938 il presidente messicano Càrdenas nazionalizzò tutti i campi petroliferi del paese il
presidente non adottò nessun tipo di rappresaglia. La stessa cosa successe l’anno dopo quando una mossa
analoga fu compiuta dal Venezuela.
La politica di buon vicinato voleva favorire la nascita di un blocco continentale esteso dall’Alaska alla Terra
del Fuoco, isolato dalle minacce economiche e militari provenienti dall’esterno.
L’aggravarsi della crisi politica tra le potenze europee durante gli anni 30 convinse Roosevelt alla necessità
di isolare l’emisfero occidentale dalle tensioni europee e consolidare così il predominio economico e
politico statunitense.
L’obiettivo non fu pienamente raggiunto perché negli anni 30 la Germania e l’Italia riuscirono a farsi strada
nel sistema economico latinoamericano. Poi si unì il Giappone i cui interessi nel Pacifico rischiarono di
entrare in collisione con quelli di Washington. Sfruttando la politica di buon vicinato Roosevelt decise di
rafforzare la politica interamericana e gettò le basi della cooperazione economica e politica dell’emisfero in
tempo di guerra. Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor gli USA convocarono una sessione speciale della
conferenza dei ministri degli esteri dell’emisfero per discutere la reciproca collaborazione contro le forze
dell’asse. Voleva costruire un fronte compatto di nazioni pronte a entrare in guerra al suo fianco e a rompere
le relazioni diplomatiche con i nemici degli USA. Solo l’Argentina si dichiarò contraria e in pochi giorni gli
altri paesi richiamarono i propri ambasciatori da Roma, Berlino e Tokio. L’aiuto ricevuto fu ricambiato da
Washington con l’applicazione anche all’America Latina della Legge Affitti e Prestiti di cui usufruirono in
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti particolare Brasile e Messico.
Le nazioni sudamericane furono invitate sia ai lavori di Bretton Woods da cui originò il sistema economico
internazionale del dopoguerra (FMI) sia alla fondazione della Fao. Non vennero invece invitate alle sessioni
istitutive dell’ONU.
Gli USA fecero l’accordo chiamato con il nome atto di Chapultepec con gli stati sudamericani che previde
un impegno difensivo comune per la restante durata del conflitto. Erano le basi di una politica da costruire,
ma il peggioramento dei rapporti tra USA e URSS non permise di consolidare i risultati raggiunti.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti 6. La guerra fredda e l’amministrazione Truman
Nel 1947 alla conferenza panamericana di Rio il compromesso di Chapultepec fu abbandonato e tra i
partecipanti si decise di rafforzare la cooperazione interamericana in funzione dello scontro con il blocco
socialista. In quell’occasione fu stipulato un accordo: Interamerican Treaty of reciprocal assisency, un patto
militare regionale che prevedeva l’attuazione di misure coercitive congiunte contro qualsiasi aggressione e
conteneva il principio secondo cui un attacco contro uno stato americano sarebbe stato inteso come un
attacco contro tutti i paesi membri.
Nel 1948 nacque l’OAS, organizzazione degli stati americani
La minaccia sovietica rispetto all’Europa portava gli USA a privilegiare lo scacchiere europeo rispetto a
quello americano.
La politica di aiuti economici e militari alla Grecia e alla Turchia sintetizzata nella Dottrina Truman non fu
mai applicata all’America latina.
Gli USA non potevano accollarsi un altro pesante fardello di aiuti nella falsariga del Piano Marshall anche
per l’America Latina. Per questo Washington fece credere agli alleati meridionali che la rinascita economica
del vecchio continente avrebbe avvantaggiato anche le economie sudamericane.
Gli Usa volevano tutelare i proprio interessi economici senza preoccuparsi di instaurare con gli stati del sud
relazioni fondate sul piano di equità.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti 7. L’amministrazione Eisenhower, la lotta al comunismo e il
problema di Cuba
Nel 1950 Kennan, il funzionario del Dipartimento di Stato si recò in America Latina. Nel resoconto del
viaggio osservava che nella regione le attività dei comunisti rappresentavano una minaccia seria per gli
interessi americani. Disse che i rossi tentavano di introdurre un sistema politico ostile a quello americano.
Invitava Washington ad una minore indulgenza verso la loro attività e minori scrupoli.
In America Latina le parole di Kennan furono utilizzate per giustificare ogni intervento statunitense.
Appena eletto Eisenhower decise di inviare in America latina suo Fratello Milton. Questi si espresse in
modo simile a Kennan ma aggiunse il consiglio secondo cui il presidente avrebbe dovuto avviare una
maggior collaborazione economica con la regione per ridurre il divario di ricchezza fra le realtà locali e
colmare un gap che avrebbe potuto favorire l’ideologia comunista.
La risposta del presidente oscillò tra due estremi: l’invio di finanziamenti e aiuti militari a governi anche di
tipo dittatoriale purchè anticomunisti, e l’intervento diretto come nel caso del Guatemala di Arbenz
abbattuto grazie a una covert operation organizzata dalla Cia.
I punti di tale politica furono messi nero su bianco in un documento del National security Council del 1954.
si apre con l’affermazione che gli USA si dovevano impegnare a rafforzare la sicurezza dell’emisfero
occidentale con un sostegno alle nazioni latinoamericane per tenerle lontane da tutti quei fattori che
avrebbero favorito al penetrazione comunista. Le modalità da seguire erano 2: lo sviluppo e l’incremento
della stabilità economica e l’approfondimento delle relazioni militari. Nel documento si ribadivano anche le
preoccupazioni di garantire alle imprese americane il pieno e incondizionato accesso alle materie prime
locali. Poi si sottolineava l’importanza per Washington di stroncare sul nascere ogni svolta locale verso
regimi nazionalisti considerati il primo passo per la penetrazione comunista.
Il personaggio politico sudamericano che più incarnava tutti questi elementi era il neopresidente
guatemalteco Jacopo Arbenz.
Una soluzione simile a quella Guatemalteca fu escogitata anche per Cuba. Nel 1959 aveva preso potere un
leader progressista ma non comunista Castro che era riuscito a spodestare il dittatore sostenuto dagli USA
Batista. Eisenhower aveva sostenuto per anni la lotta del governo di Batista nei confronti dei guerriglieri
castristi con aiuti militari.
Quando Castro conquistò l’Avana l’evento non fu accolto negativamente dall’opinione pubblica
statunitense. L’atteggiamento americano mutò quando l’amministrazione Eisenhower seppe che tra i
sostenitori di Castro c’era stata una infiltrazione comunista. L’eventualità che Cuba cadesse nelle mani
dell’URSS convinse Washington a fare pressioni sul leader cubano perché tenesse lontano dal governo i
rossi. Questi rispose nazionalizzando beni appartenenti a imprese statunitensi.
Nel 1960 Castro firmò con la Russia un accordo per l’acquisto di partite di zucchero e Cruscev salutò Castro
come una nuova forza dell’America latina dichiarando morta la Dottrina Monroe. Gli USA risposero
ponendo l’embargo totale sulle importazioni di zucchero da Cuba e organizzarono preparativi per la
spedizione di esuli cubani contrari a Castro che sarebbe dovuta sbarcare sull’isola sostenuta dalla Cia.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti 8. Kennedy, l’alleanza per il progresso, Cuba e Che Guevara
Nel 1961 1500 uomini sbarcarono a Cuba presso la Baia dei Porci con l’obbiettivo di spodestare Castro
confidando nel sostegno popolare. La popolazione cubana non intervenne e le forze dell’esercito regolare
ebbero la meglio. Terminato il doppio mandato di Eisenhower, a fare il via libera all’operazione preparata
dall’amministrazione repubblicana fu il democratico John Fitzgerald Kennedy. Il fallimento dello sbarco fu
un duro colpo per le attese di rinnovamento che l’elezione del presidente aveva suscitato. Dopo il tentativo
di scalzare Castro, in America latina l’opinione pubblica si convinse che Kennedy fosse un nuovo Theodore
Roosevelt pronto a inviare Marines per tutelare gli interessi statunitensi.
L’azione contro Castro rischiò di eclissare l’Alleanza per il Progresso, iniziativa varata nel 1961 con cui la
nuova amministrazione voleva rilanciare la politica di buon vicinato verso l’America Latina. Era un
programma di aiuti economici ai paesi sudamericani che mirava a promuovere lo sviluppo economico e
democratico regionale impedendo la diffusione del comunismo.
Kennedy convocò i due assistenti Schlesinger e Mcgover e gli chiese di recarsi in America Latina per
studiare come organizzare il piano di aiuti. I due si recarono in Argentina, Brasile, Perù, Bolivia e Venezuela
e ovunque trovarono giovani partiti democristiani decisi a rompere con le torbide tradizioni del passato. Ma
trovarono anche il mito Castro. Per i poveri e i diseredati Fidel era il messia. L’America Latina era alle
soglie di una rivoluzione. Venivano mandati via i dittatori e l’intero continente era alla vigilia di un grande
sviluppo economico e si stavano creando le basi per una nuova società fondata sulla libera iniziativa o sul
socialismo.
Il problema di Cuba e il tentativo sovietico di prendere piede nell’emisfero occidentale non doveva distrarre
l’amministrazione dall’obiettivo di costruire un continente libero, stabile e ricco attraverso lo sviluppo
economico e il progresso sociale.
Nel 1961 Kennedy lanciò ufficialmente il progetto dell’Alleanza per il Progresso. L’iniziativa prevedeva un
impegno degli USA a fornire aiuti allo sviluppo per 20 miliardi in 10 anni. Furono costruite scuole, ospedali,
varati programmi educativi e culturali, riforme fiscali e agricole.
Kennedy però favoriva l’insediamento di leader eletti democraticamente ma non arretrava davanti alla
possibilità di stabilire rapporti con esponenti delle vecchie oligarchie ed elite locali.
Dopo la morte di Kennedy e con l’amministrazione Johnson quasi completamente assorbita dalla guerra in
Vietnam, l’impulso iniziale all’Alleanza venne meno e gli aiuti promessi furono ridotti fino a far fallire
l’iniziativa.
L’amministrazione Kennedy decise di rinforzare gli eserciti delle repubbliche locali per metterle in
condizioni di affrontare con successo le infiltrazioni di elementi comunisti.
Nel 1962 il contenzioso con Cuba raggiunse la massima tensione con la crisi dei missili quando a causa
dell’installazione di vettori nucleari sovietici nell’isola il mondo sfiorò una guerra mondiale. Cruscev
intendeva lo spiegamento missilistico come un tentativo di diffondere la rivoluzione comunista in America
Latina. Il compromesso raggiunto da Kennedy con Cruscev, lo smantellamento dei missili in cambio del
ritiro delle testate nucleari in Turchia permise di instaurare un clima di maggiore collaborazione tra le due
potenze e di tale spirito beneficiarono anche le relazioni tra Cuba e USA. Nell’ultimo anno di presidenza
Kennedy approcciò un riavvicinamento con Castro.
Gli USA volevano riavvicinarsi a Castro per migliorare le relazioni con Cuba nell’interesse della stabilità
degli equilibri latinoamericani. Le condizioni richieste erano l’abbandono di ogni contatto con le influenze
comuniste provenienti dall’URSS e la fine dei tentativi di sovversione diretti al resto dell’emisfero
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti occidentale.
I tentativi di dialogo continuarono anche con Lyndon Johnson. Ma la totale mancanza di volontà di Johnson
fece naufragare ogni possibilità. Non solo bloccò ogni ulteriore iniziativa cubana ma arrivò anche a bloccare
ulteriori tentativi indipendenti da parte di altri leader statunitensi come Bob Kennedy.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
America latina e Stati Uniti